Il campionato è agli sgoccioli e ormai da qualche settimana la squadra della mia città, il Foggia, si sta valorosamente sudando la salita verso la serie B. Dopo la vittoria conquistata a Lecce la settimana scorsa, i satanelli¹ sono tornati allo Zaccheria² per giocare la partita di ritorno. Vittoria che ha infiammato ulteriormente gli animi rossoneri, già infervorati dalla lunga e brillante stagione calcistica costellata di numerose vittorie conquistate con grande competenza e professionalità. Di conseguenza il richiamo allo stadio è diventato come il canto delle sirene per Ulisse ma noi foggiani non conosciamo tappi di cera, per cui dolcemente ci siamo fatti e ci faremo trascinare oltre i tornelli con occhi sognanti. Ma la strada non è facile, occorrono sacrificio, ore di coda sperando di aggiudicarsi il biglietto. E da qual momento poi ci somigliamo un po’ tutti: educatamente in fila con lo sguardo alla Smigol, stringiamo in mano il nostro tesoro in attesa di entrate nel Colosseo dei Satanelli. Nonostante il sole caldo di fine maggio la fila scorre velocemente e presto raggiungo i cancelli del prefiltraggio. Poche ore prima facebook mi ricordava che in quello stesso giorno, 33 anni prima, il calcio subiva una delle più profonde ferite che siano mai state inferte allo sport: la strage dell’Heysel. Eppure in quel momento, ferma in attesa del mio turno, percepivo una grande agitazione per il match mista a profonda compostezza ed educazione. La presenza di numerose famiglie con bimbi al seguito è stata la dimostrazione che lo sport è altro, è competizione sana avente esclusivamente lo scopo di aggregare e divertire. Ma tifare il Foggia non è solo sport è molto di più: è uno stato d’animo, è una falda acquifera che scorre sotto le case di tutti i foggiani da cui alcuni attingono quotidianamente, alterandone a vita il DNA, altri invece se ne dissetano solo quando la sua vena sale più in superfice e risulta più facile attingere alle sue acque. Voi li chiamate tifosi “occasionali”, per me sono pur sempre foggiani che nel momento di maggior sostegno sanno esserci . Si affacciano allo stadio solo per le ultime 4-5 partite? … Beh, ben vengano. Meglio nuove ugole pronte a gridare “u fogg ej nu squadron”³ che uno stadio pieno per metà di quelli che resteranno sempre e comunque i FEDELISSIMI.
Superati i tornelli e saliti i pochi gradini eccomi finalmente sulle gradinate della tribuna est. Sono solo le 18.15, il match comincia alle 20.45, eppure lo spettacolo che si apre ai miei occhi è straordinario. Mancano quasi 3 ore al fischio d’inizio eppure lo stadio è già gremito, impaziente, festante. L’aria sembra formicolare per l’attesa. Non nascondo di aver provato una certa ansia pensando a come avrei trascorso quelle lunghe ore. Con mia grande sorpresa invece il tempo è volato impegnata a familiarizzare con le curve, i loro trascorsi; l’organizzazione delle scenografie…e che scenografie!! E poi i cori. Impossibile rimanere sordi e impassibili a quei motivetti dal ritmo coinvolgente e dal testo uscito dalle migliori bettole. Eppure prima ancora di realizzare e metabolizzare sono ormai impresse nella testa e te le ritrovi a cantare alla stregua del peggior tormentone estivo. Intanto l’attesa si fa impaziente, l’emozione inizia a farsi sentire. Sono seduta sui gradoni ormai da molto, le gambe chiedono un po’ di spazio per muoversi ma tutto sommato penso di avere un idea generale della vita da stadio…Pensavo male! Allo stadio devi andarci anche con un certo stile e dunque ecco una bella carrellata dei migliori outfit sfoggiati: magliette rossonere più o meno originali, con numeri e nomi personalizzati, outfit composti da pantaloni rossi e t-shirt nere e viceversa, matita nera e rossetto rosso spalmati in egual misura sulle guance a memoria della bandiera, sciarpette tarlate con l’autografo sbiadito di Beppe Signori fino al più coraggioso che sfila nella sua bella divisa ufficiale con tanto di scarpette con i tacchetti e parastinchi, nell’illusione di poter scendere in campo qualora il mister non avesse più cambi! Che mondo pazzo e multicolor è lo stadio!
Il tempo scorre ed ecco che a meno di un’ora dall’inizio fanno lentamente capolino sul campo le squadre che, sotto una fitta pioggia di cori d’incoraggiamento l’una e di insulti e fischi l’altra, tentano di allenarsi. E io mi sento una bimba, sono alle prese con uno spettacolo che non ho mai visto prima d’ora e che ha già fatto irrimediabilmente breccia nel mio cuore. Accanto a me c’è Francesco che tenta di spiegarmi alcuni degli schemi di allenamento, tenta di imprimere nella mia testa già troppo sovraffollata, i nomi dei calciatori. Ma ahimè sarà costretto a ripetermeli parecchie volte.
Le squadre sono pronte e la folla trattiene il fiato. Tutti gli occhi sono puntati al centrocampo, la festa rossonera è cominciata, tutti tornano a respirare al suono del fischio d’inizio. Da quel momento l’infarto è in agguato in ogni azione, la delusione si affaccia ai primi gol mancati e intanto applausi e cori si susseguono. Mi sembra di vedere una mamma che accompagna suo figlio, da lontano lo incoraggia a migliorare quello che è già un gran successo. Una mamma che vorrebbe scendere e sostituirsi al figlio ma sa che deve fidarsi, deve confidare nelle sue grandi doti. Questo è lo Zaccheria lungo tutto i 90 minuti. Il tutto intervallato da qualche pacifico(?) rimembrare parenti defunti e affini ai poveri leccesi che al quarto minuto del secondo tempo li incassano insieme al primo gol dei satanelli. In quel momento l’euforia generale fa tremare lo stadio, il cemento vibra sotto i piedi, l’adrenalina circola libera per il corpo e lo sconosciuto accanto ti abbraccia come neanche il parente più stretto a capodanno. E nella mia incoscienza di neofita non so che il bello deve ancora venire: al 18’ il secondo goal fa esplodere di gioia lo Zaccheria. Nell’esultanza non posso non notare innanzitutto il tifoso accanto a Francesco avvinghiato al suo collo come un koala, ma soprattutto la delusione dei giallo rossi che immobili in mezzo al campo con la testa china prendono coscienza di aver perso quel treno che li avrebbe portati in serie B. E un po’ me ne dispiaccio, alla fine si scende in campo con lo stesso obiettivo, e per quanto si è consapevoli di avere il 50 % di possibilità di farcela non si è mai del tutto pronti all’altra metà. E allora grazie anche a voi leccesi, ma soprattutto a voi 11 satanelli se ho ricevuto il battesimo del fuoco con questa meravigliosa giornata allo stadio. Si perché in 32 anni non ero mai stata allo stadio e credo che aspettare abbia fatto bene! Grazie per avermi trascinato in quello che Ulisse chiamò il “folle volo”, il vostro folle, unico volo verso la B.